Ce ne parla uno dei più noti ricercatori a livello internazionale, Vittorio Violante, del Centro Ricerca ENEA di Frascati

La storia della fusione nucleare “fredda” (cosiddetta in alternativa alla fusione termonucleare, per la quale sono necessarie temperature di milioni di °C) è iniziata con grande clamore nel 1989, in seguito allo straordinario risalto che i mass media di tutto il mondo diedero ad alcuni esperimenti dei chimici Stanley Pons e Martin Fleischmann (vedi testo correlato). Tra la cauta e spesso scettica attenzione degli ambienti accademici, per alcuni anni i media parlarono di fusione fredda prospettando la possibilità della panacea energetica: cioè una fonte di energia semplice, economica, abbondante e ambientalmente compatibile.

Nel giro di pochi anni, tuttavia, la fusione fredda passò dalle stelle alle stalle. Si parlò di vera e propria “bufala”, di grossolano abbaglio, di clamoroso esempio di scienza spettacolo senza fondamento. Per almeno un decennio quanti continuarono ad occuparsi di ricerca sulla fusione fredda lo facevano consapevoli di mettere a rischio la propria reputazione scientifica.

Periodicamente, però, molti media continuano a prospettare la fusione fredda come una grande speranza energetica. Su Internet abbondano pagine e commenti che ventilano l'ipotesi del complotto da parte dell'establishment energetico internazionale, per boicottare una fonte cosiddetta “free energy”. Ma, al di là delle ipotesi più o meno fantasiose e destituite di fondamento scientifico, è un dato di fatto che industrie certamente non note per l'attitudine a buttare soldi dalle finestre (ad esempio la giapponese Mitsubishi, la francese EDF, la statunitense Energetics, in Italia Pirelli Labs) stanno investendo discrete risorse in ricerca nel settore, mentre numerosi e seri laboratori di ricerca in diversi Paesi (in Italia l'ENEA, l'INFN ed altri) continuano silenziosamente a lavorare.

Qual è dunque lo stato dell'arte nel campo della fusione fredda?

Lo abbiamo chiesto ad uno dei maggiori esperti non solo italiani: Vittorio Violante, del Centro Ricerca Enea di Frascati, particolarmente noto a livello internazionale per le sue ricerche nel campo della scienza dei materiali.

«La vicenda della fusione fredda – ricorda Violante - è stata oggetto di forti contestazioni, perché all'inizio chi provò a ripetere l'esperimento di Fleischmann e Pons otteneva risultati molto contrastanti. Il Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti mise sotto osservazione la materia e alcuni importanti laboratori di vari Paesi provarono a ripetere l'esperimento, in genere con scarso successo: non si riusciva a replicare i risultati che i due chimici dichiaravano di aver ottenuto. Poiché la riproducibilità è un fattore essenziale per la definizione di un fenomeno scientifico, la fusione fredda fu in qualche modo considerata “cattiva scienza” e soltanto pochi ricercatori e laboratori - tra i quali, però, anche alcuni molto qualificati - hanno continuato ad effettuare ricerche».

Ma sono passati più di quindici anni e diversi laboratori hanno dichiarato che, in effetti, negli esperimenti si registrano le anomalie termiche dichiarate da Fleischmann e Pons. Ancora oggi il fenomeno può considerarsi non riproducibile e, quindi, in qualche modo casuale?

«Le osservazioni sperimentali, raccolte negli anni dai gruppi di ricerca che hanno continuato a lavorare, hanno messo in evidenza che effettivamente l'eccesso di potenza si manifesta, a volte anche con una notevole vivacità. Anche la riproducibilità del fenomeno è notevolmente superiore a quella che si riusciva ad ottenere solo alcuni anni or sono.

I primi che hanno dato indicazioni riguardo alla riproducibilità sono stati il californiano SRI International e la IMRA Japan, i quali hanno osservato che si trattava di una fenomeno “a soglia”. Vale a dire che l'eccesso di potenza si innesca solo se si raggiunge un livello di concentrazione di deuterio (ovvero di quantità di atomi di deuterio) all'interno del reticolo di palladio non inferiore ad un certo valore.

Partendo da questa osservazione, io, ad esempio, ho dedicato buona parte della mia attività scientifica a cercare di comprendere come mai, a parità di condizioni di lavoro, un materiale come il palladio, che apparentemente è sempre uguale, talvolta assorbe più idrogeno e a volte ne assorbe di meno. Questo studio è durato diversi anni e alla fine, identificati alcuni aspetti termodinamici e di cinetica diffusionale del problema, qui all'ENEA, siamo riusciti a creare e a brevettare una tipologia di questo metallo ed un processo per realizzarlo che consente di riprodurre in modo affidabile la soglia di concentrazione necessaria all'innescarsi del fenomeno».

Cioè, siete riusciti a consentire la famosa riproducibilità?

«Più precisamente, siamo riusciti a creare - in sistemi elettrolitici del tipo deuterio-palladio - una affidabile riproducibilità della soglia critica di caricamento. Abbiamo fornito i nostri materiali anche ad altri gruppi ricerca e, quindi, abbiamo messo anche altri laboratori in condizione di osservare il fenomeno di eccesso di potenza con una migliorata probabilità di successo. Non è ancora una vera e propria riproducibilità controllata: ad esempio stiamo ancora lavorando sul controllo dello star-up del fenomeno, che a tutt'oggi non siamo in grado di far partire a comando. Abbiamo però creato i presupposti affinché entro un determinato tempo il fenomeno si manifesti con una certa probabilità. Si tratta insomma di una importante situazione di miglioramento e “trasferimento” della riproducibilità, la qualcosa era totalmente assente quando è iniziata questa ricerca nel 1989.

A questo punto, nell'agosto 2003, c'è stato un evento scientifico che ha in qualche modo cambiato lo scenario di cui parliamo. Si tratta della Conferenza internazionale sulla fusione fredda tenutasi a Boston, ove io e altri ricercatori di istituti che avevano utilizzato i materiali messi a punto dall'Enea presentammo i positivi risultati raggiunti. Questi ed altri risultati - presentati da altri gruppi di prestigio internazionale - convinsero alcuni accademici americani a sottoporre nuovamente la questione al DOE, affinché svolgesse nuove verifiche. Così, insigni esperti del DOE hanno effettuato una ampia analisi dei dati disponibili in letteratura, in seguito alla quale hanno proposto un confronto dal vivo con alcuni esperti. Confronto che si è tenuto nell'agosto 2004 a Washington, durante il quale 5 scienziati americani e uno solo non americano – io – hanno discusso davanti ad una commissione di qualificati referee le ricerche effettuate e i risultati ottenuti. Quindi la commissione di esperti del DOE ha valutato per alcuni mesi la documentazione raccolta ed ha poi emesso una “sentenza”, nella quale si asseriva che circa la metà dei referee riteneva che il fenomeno era da considerarsi un effetto reale, cioè non frutto di fantasia o di cattive misure, e che la materia meritava di essere studiata ne più ne meno che altre materie scientifiche».

In sostanza un vero e proprio ripensamento, nel quale il DOE ha ammesso che in passato si era sbagliato?

«Non proprio, piuttosto l'approvazione di un processo di revisione. Cioè la presa d'atto che la situazione è oggi diversa da quella iniziale del 1989, e che il lavoro fatto nei quindici anni successivi dai vari laboratori di ricerca, come quello dell'ENEA, ha cambiato i termini della questione».

Quali sono i Paesi più attivi nella ricerca sulla fusione fredda?

«Oltre all'Italia – ove è attivo l'ENEA, ma anche l'INFN e alcuni istituti universitari, tra cui il Dipartimento “Energetica” della Sapienza di Roma, che collabora intensamente con noi – c'è una discreta attività negli USA, in Francia, in Giappone, in Russia e in Cina. Il nostro Paese è peraltro ben collocato e le nostre ricerche sono molto apprezzate all'estero».

Tornando al fenomeno, c'è finalmente concordanza sulla sua origine? Si può certamente parlare di fusione nucleare o ci sono ancora dubbi, ad esempio per possibili trasmutazioni di tipo chimico?

«Sulla base della scienza nota, in base alle misurazioni calorimetriche che vengono effettuate, è difficile spiegare i fenomeni che registriamo come degli effetti chimici.

Una misura calorimetrica consiste nel bilancio tra la potenza che viene immessa dall'esterno nel sistema e quella che il sistema emette. Quando nei nostri esperimenti si manifesta l'eccesso di potenza (potenza in uscita dal sistema maggiore di quella in ingresso) il guadagno di energia che ne deriva è tale che se fosse ridistribuito su tutte le particelle presenti nel “sistema elettrodo” (cioè gli atomi di metallo più gli atomi di deuterio che noi abbiamo messo dentro) darebbe luogo ad una quantità di energia per atomo da 10 a 100 volte maggiore alla massima energia associabile ad un legame chimico. Se volessimo parlare di fenomeni chimici dovremmo ammettere che nei nostri “elettrodi” avvengono reazioni ottenute con elementi che hanno legami chimici da decine di elettronvolt. Ma non sono noti legami chimici dotati di tale energia, per cui possiamo ragionevolmente affermare che si tratta di eventi di altra natura, che, sulla base delle nostre conoscenze, possono solo essere fenomeni di natura nucleare. Inoltre occorre sottolineare che, con riferimento al palladio, gli eccessi di potenza (e quindi di energia) si ottengono solo con il deuterio e non con l'idrogeno. Questo è un altro indizio che porta ad identificare il fenomeno come di natura nucleare associabile ad un processo di fusione che procede con modalità diverse rispetto a quanto avviene nei plasmi.

In definitiva in questo tipo di esperimento dobbiamo attenderci, come firma dell'avvenuto processo nucleare, un aumento della concentrazione (quantità) di elio significativamente al disopra di quelli che sono i valori naturali rivelabili nell'aria che ci circonda. Alcune misure, anche se preliminari, effettuate in prestigiosi Istituti (tra cui l'ENEA e l'SRI), hanno fatto osservare che, in concomitanza con il fenomeno della produzione di potenza (ed energia) in eccesso, si registra un aumento della concentrazione di elio (in celle sperimentali perfettamente sigillate e realizzate con tecnologia da alto vuoto) rispetto ai valori ambientali ed in quantità consistenti con l'eccesso di energia prodotta, assumendo appunto che il processo sia riconducibile ad una fusione tra nuclei di deuterio con produzione di calore ed elio, senza emissione di radiazioni. A tale riguardo esistono anche delle interpretazioni teoriche».

E ora? Dove si sta indirizzando la ricerca?

«Dopo l'accertamento effettuato dal DOE del 2003-2004 è iniziato un processo di revisione che si articola in due fasi: la prima, che possiamo chiamare di “definizione”, è in via di completamento, e si basa in larga misura sull'utilizzo degli elettrodi che produciamo qui all'ENEA di Frascati, perché sono quelli che hanno fornito un livello di riproducibilità accettabile e livelli di segnale inequivocabili. Il laboratorio americano che è stato incaricato di effettuare la fase di revisione, l'SRI, ad esempio, utilizza i nostri elettrodi ed il sistema calorimetrico della Energetics.

Una seconda fase del processo di revisione è prevista nel caso in cui vengano raggiunti gli obiettivi fissati per la prima.»

Cioè, dopo la prima fase di “definizione” si potrebbe cominciare a pensare ad applicazioni di qualche tipo, anche se molto in là nel tempo? Ad esempio per la produzione di energia?

«No, guardi, non è proprio il caso di parlare di applicazioni energetiche o d'altro tipo. Siamo ancora in una fase di ricerca fondamentale, e non c'è davvero la possibilità di esprimersi non dico su ipotetiche applicazioni, ma nemmeno sulla possibilità di studi di natura tecnologica senza aver prima definito la fisica del sistema.

Un ingegnere che fa un progetto tecnologico, anche molto sperimentale, ma che lasci sperare in possibili sviluppi, ha bisogno di equazioni matematiche e le equazioni possono essere elaborate solo quando tutto il processo fisico è completamente compreso e definito. Noi stiamo muovendo i primi passi proprio per ricostruire, definire e comprendere lo scenario di fronte al quale ci troviamo. Poi non sappiamo se potranno esserci applicazioni di qualche genere, ma è già una cosa molto importante avere la certezza dell'esistenza di un fenomeno come quello della fusione fredda e poter dire che stiamo cominciando a definirlo». (http://www.ugis.it/a270107-coldfus.html)

 

 

L’innesco del plasma nel laboratorio dell’ITIS di Avezzano

A che punto siamo con la fusione fredda?

… Nei nostri esperimenti si manifesta eccesso di potenza ...10 a 100 volte maggiore della massima energia associabile ad un legame chimico.

Ma non sono noti legami chimici dotati di tale energia, per cui possiamo ragionevolmente affermare che si tratta di eventi di altra natura, che, sulla base delle nostre conoscenze, possono solo essere fenomeni di natura nucleare. …

                                              Vittorio Violante, ENEA

Titoli presenti in questa pagina:

 

1) A che punto siamo con la fusione fredda?

 

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La preparazione della cella nel laboratorio dell’ITIS di Avezzano

Il metodo scientifico

Il fatto che siano molti anni che la questione vada avanti senza arrivare ad una conclusione non dimostra nulla. 

Noi possiamo solo affermare che, tutti quelli che se ne sono interessati, non sono stati capaci di arrivare a delle conclusioni sicure e convincenti.

Ma, questi ultimi, non possono, in alcun modo, confutare niente. Chi si occupa di questo studio può solo dimostrare, se ne è capace, che si tratta veramente di fusione fredda. Il contrario no...

Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di evidenza empirica e misurabile attraverso l'osservazione e l'esperimento; dall'altra, nella formulazione di ipotesi e teorie da sottoporre nuovamente al vaglio dell'esperimento.

 

L’apprendimento (il ciclo conoscitivo)

 

Definisce il percorso (ripetitivo) per raggiungere o consolidare la conoscenza di un determinato argomento. Non c'è accordo universale su quale sia questo percorso, perché la sua definizione dipende anche da che cosa si intenda in generale per conoscenza, e questo costituisce un argomento di discussione della filosofia. In proposito, è particolarmente acceso il dibattito tra deduttivisti e induttivisti.

 

Il metodo induttivo

 

Limitandosi al campo delle scienze naturali, fisiche e matematiche, il ciclo conoscitivo induttivo descrive il percorso seguito per arrivare alla stesura di una legge scientifica a partire dall'osservazione di un fenomeno. Si articola nei seguenti passi, ripetuti ciclicamente:

Osservazione

Esperimento

Correlazione fra le misure

Definizione di un modello fisico

Elaborazione di un modello matematico

Formalizzazione della teoria

 

Il metodo deduttivo

 

Il filosofo e logico inglese Bertrand Russell (1872-1970) sollevò un importante problema riguardo a quello che venne considerato, fin dai tempi di Bacone, il modo di fare scienza: il metodo dell'induzione. Secondo questa metodologia, la scienza si baserebbe sulla raccolta di osservazioni riguardo un certo fenomeno X, da cui trarre una legge generale che permetta di prevedere una futura manifestazione di X. Ciò che Russell osservò, con classico humour inglese, è che anche il tacchino americano, che il contadino nutre con regolarità tutti i giorni, può arrivare a prevedere che anche domani sarà nutrito... ma "domani" è il giorno del Ringraziamento e l'unico che mangerà sarà l'allevatore (a spese del tacchino)! Questa fu la celebre obiezione del tacchino induttivista.

Detto in maniera sintetica, l'induzione non ha consistenza logica perché non si può formulare una legge universale sulla base di singoli casi; ad esempio, l'osservazione di uno o più cigni dal colore bianco non autorizza a dire che tutti i cigni sono bianchi; esistono infatti anche dei cigni di colore nero.

L'unico metodo scientifico valido è il metodo deduttivo dei controlli, basato sulla messa alla prova della teoria tramite le asserzioni che se ne possono dedurre, presupponendo l'obbligo, per il ricercatore, di formulare le sue asserzioni in modo tale che esse siano falsificabili (smentibili, confutabili) in sede di esperimento.

Popper sostituisce così l'idea di una scienza basata sulla pura routine dell'enumerazione con l'idea, ben più affascinante, di una scienza di ardite congetture e ricerca continua dell'errore, in vista della verità, che resta un ideale regolativo.

 

Il falsificazionismo popperiano

 

Karl Popper ha quindi elaborato una definizione di metodo scientifico deduttivo basata sul criterio di falsificabilità, anziché su quello induttivo di verificabilità. Gli esperimenti empirici non possono mai, per Popper, "verificare" una teoria, possono al massimo smentirla.

Il fatto che una previsione formulata da un'ipotesi si sia realmente verificata, non vuol dire che essa si verificherà sempre.

Regole per applicare il metodo deduttivo all'osservazione dei fenomeni naturali

 

La preoccupazione metodologica scientifica è quella di rispettare una serie di regole imposte dal pensiero logico al fine di salvaguardare la realtà e l'obiettività dei fenomeni studiati.

Le scienze naturali, dette anche scienze empiriche per il loro carattere sperimentale, sono una forma di conoscenza basata su due elementi fondamentali, l'oggetto di studio ed il metodo impiegato.

Questa conoscenza è un sapere empirico, cioè fondato sull'esperienza, descrittivo ed esplicativo, di osservazioni singole e limitate che possono essere sia ripetute che generalizzate.

Il metodo sperimentale, detto anche galileano o ipotetico-deduttivo, è una procedura conoscitiva articolata in diverse proposizioni, chiamate ragionamento sperimentale. Esso si basa sull'idea che la teoria si costruisce all'inizio, non alla fine.

Per eseguire osservazioni scientifiche che abbiano carattere di oggettività, è necessario applicare le seguenti regole, proprie del metodo deduttivo:

1. formulare un'ipotesi;

2. esprimerla in modo da prevedere conseguenze od eventi, deducibili dall'ipotesi iniziale;

3. osservare se si produce l'evento previsto;

se l'evento si produce, la teoria non è confermata, semplicemente non è stata smentita e possiamo accettarla solo provvisoriamente.

 

Evoluzione dell'approccio al metodo scientifico

 

Col procedere della scienza moderna nella ricerca fisica della struttura della materia, le basi metodologiche del procedere scientifico sono state modificate da parte dei fisici stessi, giungendo ad un approccio che renda conto del comportamento reale degli eventi.

Si prenda ad esempio il caso, nella fisica quantistica, dello studio delle particelle che manifestano la dualità onda-corpuscolo: non è possibile misurarne in modo preciso contemporaneamente la posizione e la velocità per il Principio di indeterminazione di Heisenberg. Ad un elettrone, viene così associata una funzione d'onda che definisce le proprietà in termini probabilistici.

In biologia e medicina molte leggi sono di tipo probabilistico e non possono essere espresse con una formula matematica. Quindi, per riconoscere la scientificità di un discorso medico, si ricorre ad un controllo empirico basato sulla ripetibilità, statisticamente significativa, delle osservazioni da parte di altri ricercatori.

Quando poi l'ente oggetto di ricerca è il pensiero stesso, le ipotesi metodologiche sono definite dalla psicologia, cercando di rispettare i canoni accettati dalla scienza moderna per farla rientrare nel campo di studio delle scienze naturali.

 

La tradizione scientifica

 

Il metodo scientifico attuale nei confronti dei diversi campi della scienza prevede diverse fasi di approccio all'applicazione di una teoria scientifica. Gli scienziati utilizzano il "modello" per fare delle previsioni verificabili mediante esperimenti ed osservazioni o un'"ipotesi" quando non vi è ancora un supporto sostenuto da regole ed esperimenti. Si passa poi alla "teorie" quando si possiedono solide prove e verifiche sperimentali.

Così nella teoria dell'evoluzione, elettromagnetismo e relatività, l'intero impianto scientifico è supportato da valide prove sostenibili. Avviene tuttavia che in circostanze particolari la presenza di piccole contraddizioni osservative, possa determinare future correzioni o persino "rivoluzioni" scientifiche, all'interno di una teoria.

L'esempio è quello della velocità della luce, per la teoria della relatività essa è definita un limite invalicabile, eppure esistono circostanze particolari che consentono il suo superamento. Tale circostanza determina contraddizioni ed implicazioni scientifiche importanti, come lo sviluppo di nuove teorie che cercano di spiegare le evidenze osservative (per esempio, teoria delle stringhe o l’elettrodinamica quantistica).

Quindi, pur nell'imperfezione dei modelli precedenti, viene mantenuto l'intero impianto scientifico sino a quando una nuova teoria non possa del tutto spiegare le anomalie di quella precedente.

 

 

Giudizi intorno al metodo scientifico

 

Vari filosofi hanno riconosciuto che il metodo della scienza ha bisogno di qualità essenzialmente umane. Per esempio, William Whewell nella sua "Storia della Scienza Induttiva", ha fatto notare che "inventiva, sagacia, genio" sono importanti ad ogni passo nel metodo scientifico. Non è quindi sufficiente basare il metodo scientifico solamente sull'esperienza; diverse componenti sono parte necessaria del metodo scientifico, componenti che vanno dall'esperienza stessa all'immaginazione.

Più recentemente, considerazioni critiche sul metodo scientifico sono state presentate da Thomas Kuhn con i concetti di rivoluzione scientifica e di progresso scientifico non lineare; altre critiche sono state mosse da Imre Lakatos, che tra l'altro era stato allievo di Popper. Lakatos tuttavia credeva nella scienza e nel progresso scientifico.

Le critiche più pesanti al metodo scientifico dal punto di vista epistemologico sono dovute invece a Paul Feyerabend nel suo Contro il metodo, e in altri lavori successivi. Feyrabend sostiene che la scienza non si sarebbe potuta sviluppare se gli scienziati avessero realmente applicato il metodo dichiarato. Egli porta numerosi esempi di scienziati che hanno sostenuto una teoria contro l'evidenza dei dati sperimentali.(Wikipedia)

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Considerazioni intorno alle nostre esperienze

 

Le critiche che vengono fatte ai progetti riguardanti la presunta “fusione fredda” poggiano, di solito, su affermazioni di questo tipo:

 

1. “E’ da quasi vent’anni che vengono studiate senza alcun risultato”.

2. “E’ una cosa talmente grande ed importante che, se fosse vera, camminerebbe da sola…

3. “Certamente sono stati fatti progressi, l’ENEA ha verificato un eccesso di calore … ma le cause potrebbero essere diverse…e sconosciute”.

Sono osservazioni sensate, che paiono inattaccabili ma poi il pensiero corre, per esempio a Galileo. La scienza ufficiale di allora non lo prese per…matto?

 

Alle obiezioni sopraelencate rispondiamo punto per punto.

 

1) Il fatto che siano molti anni che la questione vada avanti senza arrivare ad una conclusione non dimostra nulla. 

Noi possiamo solo affermare che, tutti quelli che se ne sono interessati, non sono stati capaci di arrivare a delle conclusioni sicure e convincenti. Ma, questi ultimi, non possono, in alcun modo, confutare niente. Chi si occupa di questo studio può solo dimostrare, se ne è capace, che si tratta veramente di fusione fredda. Il contrario no.

Uno scienziato può, infatti, avvalorare, fornendone prove, l’esistenza di un dato fenomeno.  

Non può, in alcuna maniera, affermare, solo perché ne è convinto, che, quello, non esiste.

Nessuno può farlo, senza rischiare di dire una sciocchezza.

Nel mondo, oggi, illustri ricercatori, si occupano della fusione fredda. Tutti pazzi?  Vedremo.

Noi non siamo affatto sicuri di riuscire a dimostrare qualcosa. Tuttavia fateci almeno provare!

Qualcosa provocherà pure questo “surplus” di energia. Cercheremo di capirne le ragioni.

E se non riuscissimo?  Pazienza!  Ribadiamo che, le nostre, sono solo valenze didattiche. Il Nobel lo lasciamo agli altri.

Assieme ai nostri ragazzi avremo, comunque, imparato qualcosa. Questo conta, nella vita e nella scuola.

 

2) Può darsi ma ci sono troppi interessi negativi, troppe persone che remano contro.

Un esempio? Nessuna rivista scientifica ha voluto pubblicare gli studi dell’ENEA a riguardo.  Il rapporto 41 è rimasto confinato su internet e lo stesso prof. Rubbia prima ha collaborato con il gruppo De Ninno-Frattolillo, poi se ne è lavato le mani, facendo finta di niente e senza fornire alcuna spiegazione. Perché? Non è che, qualcuno, gli ha detto che era meglio lasciar perdere?  Oppure aveva altri interessi ...

Provate a chiederglielo. Non vi risponderà.

 

3) C’è la possibilità che non sia F.F. ma qualche altro fenomeno sconosciuto. Non è un buon motivo, solo questo, per metterci le mani e cercarne di capire di più?

Intanto Violante, dell’ENEA, dice che non si tratta di evento di natura chimica...

Quando Volta scoprì la sua pila questa era alta qualche decina di cm e forniva, in uscita, pochissimi mA. Oggi pile alte pochi cm sono in grado di erogare alcuni ampere!

Titoli presenti in questa pagina:

 

2) Il metodo scientifico